Città islamiche

La componente urbanistica islamica fondamentale concorrente alla definizione degli spazi urbani medievali.

Per molto tempo il tema delle città islamiche di età medievale è stato confinato dalla storiografia occidentale in una cornice di esotismo e in una porzione marginale rispetto allo sviluppo dell’urbanistica europea tra tardo antico ed età rinascimentale.

La città islamica veniva ricercata fuori d’Europa (oppure come fatto eccezionale che riguardava solo la penisola iberica, dove la presenza mussulmana tra l’VIII e il XV secolo non poteva essere negata) e ad essa si negava perfino quel carattere di originalità che ha sempre incuriosito gli studiosi, attribuendo al caso e alla spontaneità l’impianto viario, all’eredità antica le tecniche fortificatorie e a fattori puramente religiosi la centralità della moschea cattedrale.

A partire dagli anni ’70, studi sempre più puntuali sui tessuti urbani dell’Europa meridionale hanno dimostrato come la componente urbanistica islamica sia profondamente intrecciata con le altre componenti culturali – come le influenze “barbariche” e nordiche e le preesistenze classiche – e sia elemento fondamentale concorrente alla definizione degli spazi urbani medievali.

Dalla Spagna alla Provenza all’Italia alla penisola balcanica, in forme differenziate ma confrontabili, le città che si sono consolidate tra il X e il XIII secolo risentono fortemente di questa componente, le cui tracce più evidenti sono conservate nell’andamento dei tessuti urbani e nella gerarchia tra strade principali (shari), secondarie (darb) e vicoli ciechi (azucat).

Per quanto riguarda l’Italia, basta citare la presenza diffusa di vicoli nelle città antiche a forte continuità di vita (come Verona, Lucca, Pavia ecc.), i tessuti labirintici di più esclusiva appartenenza all’ambito islamico diffusi nelle regioni meridionali (da Salerno e Amalfi a Benevento, Bari e Grottaglie, a Siracusa e Palermo).

Una ricca messe di documenti testimonia, soprattutto in Sicilia, la presenza di popolazioni mussulmane fino al XII–XIII secolo, e la permanenza di questa tradizione insediativa fino al XIX secolo; altre conferme vengono dalla toponomastica, dai prestiti linguistici, dalle tradizioni e dalle tecniche costruttive.

Un’inchiesta su circa 2.000 vicoli presenti nelle città siciliane ha permesso di ordinarne in via sperimentale le tipologie, di seguirne l’evoluzione (dalle stradine-vicolo medievali ai cortili dell’età moderna) e di constatarne l’omogeneità con i tessuti urbani iberici e magrebini.

E in effetti è proprio il vicolo cieco, originariamente modellato sulle parentele familiari e dotato, per motivi difensivi, di una porta di accesso, l’elemento urbanistico più caratteristico e anche più resistente nel tempo.

cfr. E. Guidoni, La città europea. Formazione e significato dal IV al IX secolo , Electa, Milano 1978

Immagini tratte da Vicoli e cortili. Tradizione islamica e urbanistica popolare in Sicilia , (Palermo 1984) a cura di A. Casamento, P. Di Francesca, E. Guidoni, A. Milazzo